Introduzione
Introduction
anna maria speranza
Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, “Sapienza” Università di Roma



Nonostante 30 anni di ricerche scientifiche abbiano fornito un numero sufficiente di prove che dimostrano come la salute psicologica, l’adattamento, lo sviluppo cognitivo, sociale e psicosessuale, la qualità delle relazioni e il successo scolastico dei bambini e degli adolescenti cresciuti da genitori omosessuali siano del tutto analoghi a quelli dei figli cresciuti da genitori eterosessuali, persistono nella nostra società, nella nostra cultura e anche parzialmente in ambito professionale diverse perplessità, quando non vere e proprie ostilità, a riguardo. La scelta di dedicare un numero monotematico al tema dell’omogenitorialità vuole essere quindi un contributo a questo dibattito nell’ottica di fornire elementi di riflessione e evidenze empiriche su un tema forse conosciuto più mediaticamente e “ideologicamente” che scientificamente.
Credo sia importante inserire la questione dell’omogenitorialità all’interno del dibattito più ampio sulla famiglia contemporanea le cui complesse trasformazioni impongono di ripensare criticamente le categorie attraverso le quali comprendere scenari, configurazioni familiari ed espressioni della genitorialità, soprattutto nell’ottica della salute mentale dei bambini. Oltre un terzo dei bambini che vivono negli Stati Uniti (parliamo di quasi 26 milioni) viene cresciuto in contesti familiari che si allontanano in maniera più o meno marcata dalla cosiddetta famiglia tradizionale (la classica coppia di genitori sposati): sono bambini cresciuti da genitori non sposati, singoli per scelta o separati, adottivi o affidatari, ma anche bambini che vivono con altre figure familiari o all’interno di famiglie ricostituite, e anche – potremmo dire sorprendentemente se si considerano gli ostacoli legislativi e culturali ancora presenti – da genitori omosessuali, i quali hanno cresciuto fino ad oggi quasi 2 milioni di bambini negli Stati Uniti e oltre 100.000 solo in Italia. I vincoli che facevano coincidere coniugalità e genitorialità, così come quelli che legavano la genitorialità alla biologia o ai tradizionali ruoli eterosessuali sembrano dunque essere stati spezzati dalla realtà dei fatti (oltre che da un numero ormai significativo di ricerche empiriche). La necessità sembra allora quella di ripensare a queste nuove costellazioni familiari con strumenti e prospettive diverse che permettano di uscire da una logica patologizzante per comprendere i fenomeni nella loro esistenza. E questo diventa tanto più necessario quanto più le nuove famiglie contemporanee si trovano ad affrontare nuovi eventi critici: la discriminazione, l’assenza di modelli di riferimento, la pluriappartenenza, l’isolamento o l’invisibilità. La realtà infatti ci dice che le famiglie omogenitoriali esistono, che siano di prima costituzione, quando il progetto di genitorialità nasce dalla coppia omosessuale (e viene pianificato attraverso l’inseminazione artificiale, l’adozione, la gestazione di sostegno, nei paesi dove questo è consentito), oppure ricostituite quando i figli provengono da una precedente relazione eterosessuale. La loro invisibilità istituzionale, legata alla mancanza di riconoscimento giuridico, non vuol dire inesistenza. Ma ovviamente ha come conseguenza un’invisibilità e una mancanza di riconoscimento sociale e culturale, oltre che giuridico, che può avere significative conseguenze per il benessere dei membri della famiglia.
Alcuni passi significativi verso il riconoscimento sociale di queste realtà esistono e sono le dichiarazioni delle più importanti istituzioni internazionali e nazionali sulla salute mentale: l’American Psychiatric Association, l’American Academy of Pediatrics, l’American Psychological Association, la British Psychological Society, l’American Psychoanalytic Association, l’Associazione Italiana di Psicologia e l’Ordine Nazionale degli Psicologi, le quali si sono espresse a favore dell’omogenitorialità sottolineando come sia nell’interesse del bambino avere genitori coscienziosi e capaci di cure, senza pregiudizio rispetto al loro genere e orientamento sessuale. Ma prima che queste dichiarazioni – basate su ricerche e verifiche empiriche – possano tradursi in riconoscimento giuridico e nella tutela dei diritti delle persone (adulti e bambini) che ne fanno parte, sembra essere necessaria ancora molta strada.
Ma il dato di fatto che una realtà esiste non è di per sé sufficiente a dire che tutto procede nel migliore dei modi.  Quali sono dunque le conseguenze per i bambini? In un importante lavoro sui fattori genitoriali, familiari e contestuali che influenzano l’adattamento psicologico dei bambini, Michael Lamb (2012) passa in rassegna numerose ricerche per arrivare ad affermare che l’adattamento dei bambini non sembra affatto dipendere dalle cosiddette dimensioni strutturali della famiglia – determinate da fattori come il divorzio, la genitorialità singola, l’orientamento sessuale dei genitori o il legame biologico tra genitori e figli – ma al contrario è influenzato, indipendentemente da queste ultime, dalla qualità della genitorialità e delle relazioni tra genitori e bambini, dalle relazioni tra i genitori e dalla disponibilità di risorse economiche e sociali disponibili.
Il tema della genitorialità, a cui la nostra Rivista ha sempre dedicato ampio spazio, diventa dunque centrale per capire lo sviluppo del bambino e dell’adolescente. Partiamo innanzitutto dalla considerazione che la genitorialità non è un concetto astratto o “naturale”: è fatta di comportamenti, cioè della capacità dell’adulto di fornire cure, sostegno e supporto allo sviluppo fisico, emotivo, sociale e intellettuale del bambino, ma è fatta anche di rappresentazioni mentali, cioè di funzioni che si strutturano precocemente nella vita di ogni individuo a partire dalla propria esperienza relazionale precoce. La letteratura scientifica sull’attaccamento ha sostituito il termine genitore con quello di caregiver per indicare che ciò di cui il bambino ha bisogno per sviluppare una sicurezza interna è la funzione esercitata dall’adulto nel prendersi cura di lui e non la biologia che li lega. La generatività quindi non è condizione necessaria del prendersi cura. La qualità della genitorialità è, piuttosto, funzione di quel complesso processo che si sviluppa fin dall’infanzia attraverso l’interiorizzazione delle esperienze di cura ricevute, cioè attraverso l’esperienza soggettiva che ognuno – indipendentemente dal proprio genere o orientamento sessuale – ha vissuto a partire dalla propria esperienza di essere figlio e che rimanda a una serie di capacità che includono provvedere all’altro, garantirgli protezione e cura, entrare in risonanza affettiva, insegnare il senso del limite e provvedere al raggiungimento delle tappe evolutive. È dunque un processo che intreccia fattori intrapsichici e interpersonali e che non solo è deputato alla cura fisica ma si costituisce primariamente come la capacità di avere in mente il bambino in quanto soggetto dotato di stati affettivi e mentali autonomi. Un numero ormai considerevole di studi nell’ambito della trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento ha dimostrato come la flessibilità e la coerenza delle rappresentazioni mentali e le capacità riflessive che sono alla base del sistema di accudimento, cioè le caratteristiche dei cosiddetti modelli rappresentazionali del caregiving, siano invariabilmente legate alla salute psichica e al benessere psicologico del bambino. Questo vuol dire che non sono il genere, l’orientamento sessuale o il legame biologico a caratterizzare le capacità genitoriali, quanto le funzioni esercitate dall’adulto nei confronti del bambino. Sappiamo che esistono molti fattori di rischio per la genitorialità, tra cui esperienze traumatiche precoci, povertà, depressione genitoriale, uso di sostanze, violenza domestica, ecc., ma tra questi non può essere incluso l’orientamento sessuale del genitore né in senso più ampio il genere.
La questione da più parti sollevata che ruota attorno all’assenza di differenza di genere nelle coppie omosessuali non considera che funzioni di accudimento, di sostegno, di protezione, di contenimento, ma anche funzioni educative e normative, che regolano l’attribuzione dei valori, del senso di appartenenza e di autonomia, la capacità di dare limiti e di fornire al tempo stesso i giusti stimoli per una crescita emotiva, possano essere svolte contemporaneamente o alternativamente da entrambi i genitori. È importante anche ricordare che tutte queste funzioni devono poter seguire lo sviluppo del bambino e dell’adolescente rispondendo a bisogni che sono estremamente diversi a seconda della fase evolutiva. Ci ricorda ancora Lamb (2012) che l’ipotesi che i bambini abbiano bisogno di una madre e di un padre per avere un buon adattamento non è supportata dalla ricerca degli ultimi quarant’anni, che madri e padri sono importanti per i bambini in quanto genitori, e non in quanto maschi o femmine, e che le funzioni di cura, amore, impegno e educazione influenzano il loro sviluppo secondo modalità analoghe e non legate al genere (Lamb e Lewis, 2011). Quello che sembra assumere sempre maggiore rilevanza per un sano sviluppo psicologico del bambino è il concetto di coparenting, cioè la qualità dell’accordo e del sostegno reciproco che gli adulti raggiungono nello svolgere la loro funzione genitoriale in termini relazionali, e che non si riferisce esclusivamente alla suddivisione del lavoro e delle responsabilità nell’accudimento del figlio.
Da questa prospettiva, le interazioni triadiche rappresentano anche per il bambino un’importante opportunità di sperimentare l’esistenza del “terzo”, con tutto ciò che questo significa in termini dinamici. Nel lavoro che apre questo numero monotematico, Lingiardi ci ricorda che “la forza strutturante il complesso edipico […] potrebbe non risiedere tanto nella possibilità di identificazioni sessuali con specifici corpi sessuati, quanto piuttosto nella possibilità di trovare il proprio posto all’interno della scena familiare”. I processi di identificazione e di costruzione dell’identità sono molto più complessi di quanto si possa o si voglia credere e non si limitano alle figure del padre e della madre.
D’altra parte è ormai chiaro che la qualità della relazione tra i genitori ha un peso significativo per il benessere del bambino in modi sia diretti che indiretti: genitori con una buona armonia, un buon adattamento di coppia e sostegno reciproco forniranno al bambino modelli relazionali adeguati e al tempo stesso potranno contare su queste risorse per funzionare meglio come adulti e come genitori. Uno dei dati principali emersi dalle importanti ricerche longitudinali della Patterson (2009) ha messo in luce quanto le variabili del processo familiare, come l’adattamento genitoriale e di coppia, siano fortemente correlate allo sviluppo e alla salute dei bambini, indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori: sia nelle famiglie di coppie lesbiche sia in quelle di coppie eterosessuali un elevato stress genitoriale era associato a maggiori problemi esternalizzanti nei bambini e una qualità negativa della relazione di coppia influenzava anche il numero di problemi comportamentali dei figli. Complessivamente, comunque, i figli di entrambi i tipi di famiglia vivevano all’interno di una rete di adulti supportivi, sia familiari – come i nonni – sia non familiari, che fungevano da modelli di ruolo per i bambini di entrambi i gruppi.
Se le dimensioni strutturali della famiglia non sono determinanti di per sé, è comunque vero che i bambini e gli adolescenti funzionano psicologicamente meglio quando i loro genitori si sentono sicuri e sono riconosciuti legalmente e socialmente. Come recentemente sostenuto sull’autorevole rivista Pediatrics (Perrin, Siegel, Commitee on Psychosocial Aspects of Child and Family Health, 2013), l’opportunità di consolidare il legame attraverso il matrimonio anche per le coppie dello stesso sesso garantirebbe ai figli di queste coppie maggiore stabilità affettiva ed economica, migliori garanzie, diritti, benefici e supporto riducendo anche lo stigma sociale a cui queste famiglie sono sottoposte.
I lavori qui presentati affrontano il tema dell’omogenitorialità da diverse prospettive. Il lavoro di Lingiardi sulla famiglia “inconcepibile” propone una riflessione teorico-clinica importante su alcuni dei più controversi nodi che caratterizzano il dibattito sull’omogenitorialità. Si è scelto poi di proporre alcuni lavori di ricerca. L’articolo di Gartrell e Bos riporta i dati di uno dei più ampi studi longitudinali prospettici su famiglie lesbiche i cui figli sono stati seguiti fino all’adolescenza: i risultati positivi in termini di socialità, successo scolastico, competenze, minore presenza di comportamenti problematici esternalizzanti di tipo aggressivo e trasgressivo sembra confermare che anche in questa delicata fase dello sviluppo i figli cresciuti da madri lesbiche non si differenziano dagli adolescenti cresciuti in famiglie tradizionali. Uno sguardo sull’adattamento diadico e familiare ci viene da altri due studi: quello di Baiocco e collaboratori, che ha indagato la percezione delle competenze genitoriali mettendo a confronto genitori gay, lesbiche e eterosessuali e confermando, anche nella realtà italiana, le forti analogie presenti in queste coppie relativamente alla stabilità, all’impegno e alla soddisfazione di coppia, e il contributo di D’Amore e collaboratori, che ha utilizzato la procedura osservativa del Lausanne Trilogue Play (LTP) per studiare la cogenitorialità, riscontrando anche in questo caso l’assenza di differenze significative tra famiglie omosessuali e famiglie eterosessuali in tutte le dimensioni considerate. Infine, abbiamo ritenuto essenziale includere in questo numero una rassegna critica dell’ormai significativa mole di studi sull’omogenitorialità e i suoi effetti sullo sviluppo infantile. Il lavoro di Caristo e Nardelli fa il punto non solo sulle questioni metodologiche che hanno caratterizzato le ricerche su questo tema, ma ancora una volta riporta in maniera esaustiva come gli indicatori psicologici e sociali dei figli cresciuti in famiglie omogenitoriali siano del tutto simili a quelli dei loro coetanei cresciuti in contesti familiari tradizionali.
Bibliografia
Lamb ME (2012), Mothers, fathers, families, and circumstances: Factors affecting children’s adjustment. Applied Developmental Science, 16, 2, 98-111.
Lamb ME, Lewis C (2011), The role of parent-child relationships in child development. In MH Bornstein e ME Lamb (a cura di), Developmental science: An advanced textbook. New York: Taylor and Francis, 469-517.
Patterson CJ (2009), Lesbian and gay parents and their children: A social science perspective. In DA Hope (a cura di), Contemporary perspectives on lesbian, gay, and bisexual identities: the Nebraska Symposium on Motivation. New York: Springer, 141-182.
Perrin EC, Siegel BS, Committee on Psychosocial Aspects of Child and Family Health (2013), Promoting the well-being of children whose parents are gay or lesbian. Pediatrics,131, 4, 1374-1383.