La qualità delle interazioni triadiche nelle famiglie lesbo-genitoriali:
uno studio pilota con la procedura del Lausanne Trilogue Play
The quality of triadic interactions in lesbo-parental families:
A pilot study with the Lausanne Trilogue Play procedure
SALVATORE D’AMORE1, ALESSANDRA SIMONELLI2, MARINA MISCIOSCIA1
1Dipartimento di Psicologia e Clinica dei Sistemi Umani, Università di Liegi
2Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova

RIASSUNTO: Obiettivo: Il presente lavoro consiste in una ricerca esplorativa sulla qualità delle interazioni familiari triadiche in famiglie omogenitoriali, in cui la coppia genitoriale è composta da due donne. Gli obiettivi sono stati: a) indagare la qualità delle interazioni triadiche delle famiglie lesbo-genitoriali, identificando specificità nonché punti di forza e/o di debolezza; b) confrontare la qualità delle interazioni delle famiglie lesbo-genitoriali con i dati emersi dalla letteratura sulle interazioni triadiche nelle famiglie cosiddette “tradizionali2 (Favez, Lavanchy Scaiola, Tissot, Darwiche, Frascarolo, 2010). Metodo: Alla ricerca hanno partecipato 10 famiglie lesbo-genitoriali appartenenti ad una popolazione non clinica reclutate attraverso associazioni e siti web dedicati a coppie omosessuali e all’omogenitorialità. La qualità delle interazioni triadiche è stata valutata attraverso la procedura del Lausanne Trilogue Play (LTP). I bambini hanno un’età media di 28.3 mesi. Risultati: I dati mostrano una buona affidabilità del sistema di codifica della procedura nel discriminare la qualità delle interazioni familiari rispetto a differenti tipologie di famiglie. Il confronto del gruppo studiato con i dati della ricerca di Favez e collaboratori (2010) su tre gruppi di famiglie (eterogenitoriali, con madre depressa, eterogenitoriali ricorrenti a Procreazione Medicalmente Assistita) ha mostrato differenze significative solo con il gruppo clinico in cui la madre soffre di depressione. Conclusioni: I?risultati ottenuti sottolineano che la qualità delle interazioni triadiche familiari non è influenzata dalla composizione familiare. Emerge la capacità della procedura LTP di discriminare su base interattiva differenti tipologie di famiglie, con particolare riferimento a quelle in cui un genitore manifesta una sintomatologia clinica. Diversamente, le famiglie omogenitoriali appaiono caratterizzate da un livello di interazione triadica simile a quelle eterogenitoriali.
PAROLE CHIAVE: Omogenitorialità, Interazioni triadiche, Cogenitorialità.

ABSTRACT: Objective: The aim of the study was an exploratory research about the quality of the triadic family interactions across homo-parental families, in which the parental couple is composed by two women. The objectives have been: a) to investigate the quality of the triadic interactions of lesbo-parental families, by identifying specificity stings of strength and/or weakness; b) to compare the quality of lesbian headed families interactions with the data emerged by the literature on the triadic interactions in “traditional families” (Favez, Lavanchy Scaiola, Tissot, Darwiche, Frascarolo, 2010). Method: 10 lesbian headed families procreating through medically assisted procreation (IVF) have participated belonging to a not clinic population and recruit through associations and web sites devoted to homosexual couples and homo-parental families. The quality of the triadic interactions has been valued through the Lausanne Trilogue Play (LTP; Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery, 1999). The biological mothers have a mean of 34.4 years (SD = 5.85), not biological mothers have a mean of 36.6 years (SD = 7.69), and children have a middle age of 28.3 months (SD = 22.08). No significant differences was found on T-test analysis about children ages. Results: The collected data show good reliability of the LTP coding to discriminate the quality of the family interactions in comparison to different typologies of families. The comparison among the lesbian headed families group with the data of the research of Favez et al. (2010) on three groups of families (hetero-parents, with depressed mother, hetero-parents recurrent to Medically Assisted Procreation) has shown only meaningful differences with the clinical group. Conclusions: The emerged data seem to underline that the quality of the family triadic interactions is not influenced by the composition of the family. The LTP procedure is able to discriminate the different interactive base typologies of families, with particular reference to those in which a parent manifests clinical symptoms. Otherwise the lesbian headed families appear characterized by a level of triadic iteration closer to hetero-parental families. The present study refers to a different legislative reality from the Italian; we hope that more research can also be developed in the Italian context stimulating the attention of the researchers.
KEY WORDS: Same-sex parenthood, Triadic interactions, Coparenting.
Introduzione
Tradizionalmente, lo sviluppo del bambino e delle sue competenze cognitive, affettivo-relazionali e sociali è stato studiato nell’ambito di famiglie con genitori biologici, eterosessuali, con uno status sociale e professionale medio, appartenenti al medesimo contesto culturale riferito ai valori etici occidentali. Sono invece relativamente recenti l’interesse e la ricerca concernenti le caratteristiche e il ruolo sullo sviluppo a breve e lungo termine dei contesti di crescita che potremmo definire «non tradizionali» per composizione (famiglie mono-genitoriali e/o ricomposte), cultura (famiglie i cui membri appartengono a culture diverse e/o sono immigrati da paesi non occidentali) e orientamento sessuale (famiglie in cui i genitori sono omosessuali). All’interno di quest’ampia gamma di «nuove famiglie», i nuclei omogenitoriali costituiscono un ambito ancora poco definito e studiato dalla letteratura nazionale e internazionale.
Nel nostro paese, inoltre, l’interesse di ricerca per questa tipologia di famiglie risulta parzialmente alieno considerando l’assenza di una legge che regolamenti le unioni omosessuali, l’impossibilità di fare ricorso all’adozione e, non ultimo, a tecniche di fecondazione e/o inseminazione eterologa per le coppie etero e omosessuali1. Anche per questi motivi legati a limiti sociali e legislativi, nella realtà scientifica italiana la maggior parte dei lavori verte sulla valutazione degli atteggiamenti rispetto al matrimonio, sulla famiglia omogenitoriale e la loro correlazione con il livello di omofobia interiorizzata (Lingiardi, Baiocco, Nardelli, 2012; Pacilli, Taurino, Jost, Toorn, 2011). Tra questi, lo studio di Baiocco e collaboratori (Baiocco, Argalia, Laghi, 2012), su un campione di 373 soggetti che definiscono se stessi come omosessuali, ha riscontrato una correlazione tra alti livelli di omofobia interiorizzata e un basso desiderio di matrimonio e con uno scarso riconoscimento degli effetti positivi di una legislazione a favore delle famiglie omogenitoriali.
Di fatto, invece, le famiglie omogenitoriali sono un fenomeno socialmente rilevante sia in Italia sia in Europa, non solo come «risultato» di precedenti unioni eterosessuali con figli, ma in maniera sempre più evidente come una scelta specifica che vede la coppia omosessuale (gay o lesbica) accedere al desiderio e alla realizzazione della genitorialità.
La situazione appare differente in altri paesi dell’Unione Europea, in cui esistono sistemi legislativi e sociali che riconoscono maggiormente lo statuto, i diritti e le necessità delle famiglie omosessuali e, in generale, delle nuove famiglie. Tra questi, il Belgio (a cui fa riferimento la popolazione di famiglie omogenitoriali considerate nella parte empirica del presente lavoro) costituisce una realtà interessante da osservare. La situazione legislativa in questo paese, infatti, permette piena eguaglianza dei diritti tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali. In particolare, la Legge del 13 febbraio 2003 ha permesso la modificazione di alcune disposizioni del Codice Civile per aprire le porte al matrimonio tra persone dello stesso sesso, mentre la Legge del 18 maggio 2006 autorizza le coppie omosessuali all’adozione. Proprio in riferimento a tali specificità legislative, il Rainbow Europe Country Index 2 colloca il Belgio al secondo posto su una classifica di cinquanta paesi europei relativamente al rispetto dei diritti umani e all’uguaglianza legale delle persone LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender); nello stesso elenco l’Italia si qualifica al trentunesimo posto.
A partire da questi aspetti, non è facile poter fornire cifre che descrivano adeguatamente l’entità del fenomeno dell’omogenitorialità in Italia. In mancanza di dati Istat, un riferimento attendibile deriva dall’indagine “Modi di”3 (Lelleri, Pietrantoni, Graglia, Chiari, Palestini, 2005), la prima ricerca quantitativa sulla salute e il benessere della popolazione omosessuale italiana condotta dall’associazione Arcigay nel 2005 con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità. Da tale indagine risulta che il 17.7% dei gay e il 20.5% delle lesbiche con più di 40 anni hanno almeno un figlio. Considerando tutte le fasce d’età, sono genitori un gay o una lesbica su 20, mentre il 49% delle coppie omosessuali vorrebbe poter adottare un bambino. In base ai dati di questa ricerca, in Italia i bambini con genitori omosessuali sono circa 100.000. 4
Ulteriore questione, che si aggiunge alla difficoltà nel reperimento di dati epidemiologici attendibili sull’entità e sulle caratteristiche del fenomeno, riguarda i modelli e i metodi della ricerca in questo settore. Infatti, la maggior parte delle ricerche, soprattutto in ambito internazionale, sono state guidate dalla seguente domanda: il bambino può crescere ed evolvere adeguatamente all’interno di una famiglia i cui genitori sono omosessuali? In tal senso, quindi, l’idea ha riguardato la verifica dei possibili fattori di rischio per lo sviluppo e l’adattamento del bambino nell’arco di vita concernenti la presenza di due figure adulte di riferimento non differenziate rispetto al genere e all’orientamento sessuale.
Tali lavori, tuttavia, presentano due limiti fondamentali che necessitano un superamento teorico e metodologico. In primo luogo, la valutazione dell’impatto sullo sviluppo del bambino della presenza di due genitori omosessuali è stata svolta assumendo una sorta di sovrapposizione teorica (e quindi anche nel disegno stesso delle ricerche) tra sesso biologico di appartenenza, ruolo di genere e ruolo genitoriale di cura e protezione del piccolo. Tuttavia, nonostante i limiti emersi nei costrutti e nel disegno generale di questi studi, numerose evidenze hanno mostrato che l’orientamento sessuale dei genitori non sembra un fattore in grado di pregiudicare la qualità dei percorsi evolutivi del bambino (Goldberg, 2009; Patterson, 1996). Diversamente, l’adattamento nel corso dello sviluppo sembra piuttosto correlato, come nelle famiglie «tipiche», a caratteristiche dei processi interattivi familiari, come la qualità del legame di attaccamento tra bambino e caregiver, l’adeguatezza dello svolgimento della funzione cogenitoriale da parte degli adulti, la gestione degli eventi stressanti interni e/o esterni alla famiglia stessa (D’Amore, Gresse, Pauss, 2011). Secondariamente, il maggior numero di studi, anche sulle dinamiche familiari tipiche, non si è focalizzato sui processi evolutivi di quella che alcuni autori definiscono «la famiglia precoce» (Simonelli, Bighin, De Palo, 2012), ossia il sistema familiare in costituzione a partire dalla coppia genitoriale e in via di sviluppo nei primi anni di vita del bambino. Tali studi si sono piuttosto interessati all’osservazione e alla definizione di pattern relazionali clinici che si strutturano entro il sistema famiglia (McGoldrick, Heiman, Carter, 1993), sottolineando la carenza di conoscenze sui meccanismi e sui processi che definiscono la costruzione delle interazioni e relazioni dei componenti della famiglia e che sottendono ai percorsi evolutivi di ognuno di loro (McHale E Fivaz-Depeursinge, 1999). Si delinea, quindi, una prospettiva sistemico-evolutiva allo studio della famiglia che si caratterizza per i seguenti aspetti: (a) l’interesse per lo studio delle interazioni familiari precoci, ossia quelle emergenti dalla creazione della coppia coniugale, in evoluzione all’interno della diade cogenitoriale e in trasformazione attraverso l’accesso al terzo e alla triade familiare una volta nato il bambino; (b) lo spostamento d’interesse dall’osservazione delle comunicazioni verbali tra i componenti del sistema familiare: l’attenzione alla componente verbale degli scambi interattivi familiari, di fatto, non consente una piena comprensione del funzionamento della triade nel suo complesso (Parke, Power, Gottman, 1979). Inoltre, lo studio della componente verbale degli scambi interattivi costituisce un importante limite metodologico per quanto riguarda la possibilità di osservare lo sviluppo delle interazioni familiari precoci, caratterizzate principalmente da una comunicazione di tipo non verbale effettuata attraverso l’uso di segnali quali l’orientamento dello sguardo, le espressioni facciali, vocali e i gesti (McHale e Fivaz-Depeursinge, 1999).
In sintesi, ci troviamo di fronte a tre ordini di cambiamenti nella concettualizzazione e nella ricerca sull’evoluzione affettivo-relazionale precoce del bambino: (1) l’esigenza della formulazione di una teoria dello sviluppo delle interazioni e delle relazioni familiari, che si affianchi a modelli clinici già ampiamente descritti e indagati; (2) l’attenzione allo studio delle interazioni familiari “precoci”, ossia delle interazioni tra i membri della famiglia appena costituita, a partire dalla gravidanza fino ai primi anni di vita del bambino; (3) la scelta del piano non verbale, ossia dei comportamenti interattivi, come oggetto di indagine privilegiato nello studio dei processi individuati. Conseguenza diretta di questi spostamenti del focus di interesse teorico ed empirico è stata la realizzazione di nuovi strumenti creati al fine di poter osservare e comprendere meglio le caratteristiche e lo sviluppo delle interazioni familiari ( ibidem): la maggior parte di questi strumenti si basa sull’osservazione diretta della famiglia e, pur differenziandosi nella definizione teorica dei paradigmi di ricerca, si accomunano nell’oggetto della misura, ossia la comunicazione non verbale (Mazzoni e Tafà, 2007).
Tra tutti i contributi che si sono sviluppati nel tempo, il quadro teorico e metodologico di Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery (1999) sembra il più interessante e promettente approccio nello studio delle interazioni triadiche familiari secondo le linee identificate e sta ricevendo un ampio interesse e applicazione in ambito italiano e internazionale, sia relativamente ai processi evolutivi delle famiglie tipiche, sia a quelli dei nuclei familiari “atipici”, sia alle dinamiche disfunzionali e/o psicopatologiche (Simonelli et al., 2012).
In questa prospettiva teorica e metodologica il lavoro presenta, quindi, una rassegna della letteratura sullo sviluppo delle interazioni familiari nelle famiglie omogenitoriali e, in particolare, in quelle lesbo-genitoriali, costituite pertanto da due madri lesbiche. Inoltre, vengono riportati i primi dati di uno studio pilota sulla qualità delle interazioni familiari in questi nuclei, valutate con la procedura del Lausanne Trilogue Play (LTP; Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery, 1999) e confrontate con quelle di altre tipologie di famiglie, tipiche e atipiche, con l’obiettivo di individuarne caratteristiche specifiche ed eventuali continuità.
La transizione alla genitorialità nelle coppie lesbiche
Se in passato la maggior parte dei bambini figli di genitori lesbiche provenivano da una precedente unione eterosessuale conclusa con una separazione o con il divorzio, attualmente molti di questi bambini vengono concepiti all’interno della coppia omosessuale lesbica grazie alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA; che possono essere applicate tramite inseminazione da parte di donatore conosciuto e/o sconosciuto, Fivet5, ecc.) oppure vengono adottati in quei paesi in cui la legge lo consente. Indipendentemente dalla tecnica di procreazione utilizzata, tuttavia, quello che accomuna queste famiglie è il fatto che devono fare fronte a sfide che sono tipiche di tutte le famiglie omogenitoriali: stabilire la legittimità dei genitori e della loro genitorialità, ottenere il sostegno delle rispettive famiglie di origine e rispondere alle richieste implicite e/o esplicite del contesto sociale in cui sono inserite (Green e Mitchell, 2008). La creazione di una famiglia omogenitoriale, infatti, richiede agli adulti un elevato livello di motivazione, una importante capacità di sopportare le frustrazioni come anche una certa disponibilità economica per fare fronte all’insieme consistente delle spese giuridiche e mediche che non corrispondono certamente a quelle che affrontano le famiglie eterogenitoriali, fatta eccezione per le coppie che fanno ricorso all’adozione e/o alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita per accedere alla genitorialità. Questo insieme di aspetti psicologici, medici, sociali e, non ultimo, economici rende tali bambini sottoposti ad un lungo lavoro di «tessitura» nella mente dei loro genitori, dal momento che la loro nascita non è in alcun modo casuale.
Esistono molteplici ricerche, molte di queste longitudinali, sulle famiglie composte da coppie lesbiche per ciò che concerne l’elaborazione e la realizzazione del progetto genitoriale: i dati mostrano un elevato investimento sulla genitorialità che passa anche attraverso la scelta da parte delle partner del tipo di genitorialità da realizzare (adozione, PMA, ecc.) e delle modalità della stessa. Inoltre, le famiglie lesbo-genitoriali evidenziano una ripartizione paritaria dei ruoli, della presa di decisione e del lavoro all’interno della famiglia, con elevati livelli di soddisfazione rispetto alla relazione di coppia e allo svolgimento stesso della funzione genitoriale (Bos, van Balen, van den Boom, 2004, 2007). Le coppie lesbo-genitoriali tendono inoltre ad essere simili o anche a superare quelle eterosessuali rispetto alla quantità di tempo trascorso con i bambini, alle capacità nello svolgimento del ruolo di genitori e al livello di emotività positiva espresso nella relazione con i figli (Bos, van Balen, van Den Boom, 2003; Bos, van Balen, Sandfort, van Den Boom, 2006; Farr e Patterson, 2013; Golombok, Perry, Burston, Murray, Mooney-Somers, Stevens, Golding, 2003; MacCallum e Golombok, 2004). Nonostante questi fattori protettivi, tuttavia, così come rilevato anche nelle ricerche sulla transizione alla genitorialità nelle coppie eterosessuali, si assiste ad un decremento della qualità delle interazioni e, in generale, della relazione di coppia che, con l’arrivo del bambino, diviene caratterizzata da una diminuzione degli scambi affettivi, da una più elevata dose di conflittualità (Goldberg e Sayer, 2006), dalla differenziazione delle cure nei confronti del figlio (Goldberg e Perry-Jenkins, 2007) e dalla vicinanza affettiva del bambino ad uno piuttosto che all’altro genitore nel corso della vita familiare (Dunne, 2000; Malone e Cleary, 2002). Altri studi hanno riscontrato che le madri biologiche mostrano un più alto grado di desiderio per l’arrivo del bambino (Bos et al., 2004), rispetto al quale assumono il ruolo di caregiver primario (Dempsey, 2005; Dundas e Kaufman, 2000; Goldberg e Perry-Jenkins, 2007; Johnson, O’Connor, 2002) strutturando con lui interazioni e una relazione più stretta rispetto a quella della madre sociale6 (Bos et al., 2007; Dempsey, 2005). Questi aspetti potrebbero costituire una fonte di conflitto tra i genitori legata alla relazione con il bambino e alla costruzione della funzione cogenitoriale, che richiede appunto la ripartizione con l’altro genitore dei ruoli affettivi e organizzativi connessi con la genitorialità (Chrisp, 2001; Sullivan, 2004).
Appare evidente, quindi, come gli aspetti emersi dai dati di ricerca sembrano modificare una visione rigidamente egualitaria e armoniosa in modo idealizzato delle dinamiche interattivo-relazionali di queste famiglie, suggerendo invece il fatto che anch’esse sono soggette e devono confrontarsi con i cambiamenti propri della transizione alla genitorialità e dell’assunzione della funzione genitoriale, tipici di tutte le coppie all’arrivo del primo figlio e già molto studiati nell’ambito delle famiglie tradizionali (Helms-Erikson, 2001; Kluwer, 2010; Umberson, Pudrovska, Reczek, 2010).  
La funzione cogenitoriale
Il concetto di coparenting si riferisce al grado di coordinazione con cui gli adulti svolgono la loro funzione genitoriale in termini interattivo-relazionali (Minuchin, 1974). In altre parole, la cogenitorialità fa riferimento al grado di accordo e sostegno reciproco che i due partner riescono a raggiungere quando affrontano le proprie responsabilità genitoriali nei confronti dei figli (Irace e McHale, 2011; McHale, 2007). In tal senso, appare importante tenere presente che la definizione di cogenitorialità non si riferisce strettamente alla divisione del lavoro e della responsabilità nell’accudimento del figlio, ma in modo più ampio al grado di implicazione degli adulti nel ruolo genitoriale, alla loro coordinazione e al sostegno reciproco nella cura e nell’allevamento del bambino e alle capacità genitoriali dell’altro (McHale, Kuersten, Lauretti, 1996; McHale e Lindhal, 2011). Inoltre, il concetto di co-genitorialità è stato sempre più distinto da quello di coniugalità nella definizione e nello studio delle dinamiche familiari: la “coppia coniugale” fa riferimento alla relazione tra partner in quanto adulti coinvolti in un legame paritario e reciproco; diversamente, il costrutto di “coppia cogenitoriale” fa riferimento alla relazione supportiva e collaborativa tra due adulti relativamente alla responsabilità di guidare lo sviluppo e la socializzazione dei figli (Belsky, Putman, Crnic, 1996; Katz e Gottman, 1996; McHale, 1995; McHale e Fivaz-Depeursinge, 1999; Schoppe-Sullivan, Mangelsdorf, Frosch, McHale, 2004). Secondo questa definizione, i sottosistemi coniugale e cogenitoriale non sono aree completamente sovrapponibili ma neppure completamente indipendenti nei loro percorsi evolutivi e nei loro funzionamenti nel ciclo di vita individuale e della famiglia. Sono tuttavia aree caratterizzate da una quota di sovrapposizione e da aspetti di autonomia e di “libertà” che li rendono funzioni solo parzialmente connesse (McHale e Cowan, 1996; Margolin, Gordis, John, 2001).
Per quanto riguarda lo specifico delle coppie gay e lesbiche, la cogenitorialità è stata studiata soprattutto in riferimento alla ripartizione del lavoro all’interno della famiglia (Farr, Patterson, 2013; Goldberg, 2010). In quest’ambito, le ricerche hanno mostrato che nelle coppie omogenitoriali la ripartizione dei compiti familiari si organizza secondo modalità di condivisione paritaria dello stesso, mentre nelle coppie eterosessuali si assisterebbe piuttosto ad una sorta di specializzazione spesso basata sulle prescrizioni legate al ruolo connesso al genere di appartenenza di ogni genitore (Goldberg, 2010). I risultati dell’Atlantic Coast Family Study (Fulcher, Suftin, Patterson, 2008; Suftin, Fulcher, Bowles, Patterson, 2008) mettono in evidenza che le coppie lesbiche riportano una organizzazione dei compiti genitoriali (nutrire il bambino, vestirlo, fargli il bagnetto, ecc.) maggiormente condivisa e più equamente ripartita rispetto a quanto viene riportato dalle coppie eterosessuali. Inoltre, le madri appartenenti alle coppie eterosessuali sostengono di essere maggiormente coinvolte dei padri nei compiti familiari.
Lo studio di Farr e Patterson (2013) ha comparato coppie formate da genitori gay, lesbiche e eterosessuali rispetto alla qualità della funzione cogenitoriale e all’impatto di quest’ultima sullo sviluppo del bambino. I risultati confermano la tendenza, già emersa nei precedenti lavori, che vede le coppie composte da genitori gay e lesbiche realizzare una maggiore ripartizione dei compiti familiari, mentre le coppie eterosessuali sembrano caratterizzate da una maggiore specializzazione. Parallelamente, quando si va ad analizzare la qualità delle interazioni familiari, le osservazioni sembrano confermare la presenza di tale pattern anche sul piano comportamentale: i genitori gay e lesbiche mostrano un coinvolgimento più equilibrato nelle interazioni cogenitoriali e familiari rispetto ai genitori eterosessuali. In particolare, le coppie lesbiche mostrano comportamenti genitoriali di maggiore sostegno reciproco che le differenzia dalle coppie eterosessuali, le quali appaiono meno in grado di mettere in atto comportamenti di sostegno alla cogenitorialità del partner. Infine, la ricerca di Chan, Raboy e Patterson (1998) ha effettuato una valutazione della divisione del lavoro familiare in coppie lesbiche ed eterosessuali mettendo quest’ultima in connessione con l’adattamento del bambino. I dati evidenziano come le madri lesbiche non biologiche costituiscano il gruppo di genitori che esprimono maggiore soddisfazione rispetto alla ripartizione del lavoro familiare e alla qualità della relazione di coppia; inoltre, i bambini appartenenti a questo gruppo di genitori manifestano la minore incidenza di disturbi sul piano comportamentale. Diversamente, le coppie eterosessuali si sono mostrate quelle meno soddisfatte della ripartizione del lavoro familiare soprattutto in connessione con un alto livello di specializzazione. In questo senso, appare emergere un aspetto critico della ripartizione specifica dei ruoli familiari, particolarmente quando connessa alla divisione tradizionale dei ruoli legata all’appartenenza di genere di ciascun genitore. Le madri appartenenti alle coppie eterosessuali, che dichiaravano di svolgere una mole di lavoro familiare più elevata dei loro partner, si sono mostrate anche meno soddisfatte rispetto ai padri nella attuale organizzazione della famiglia. Ugualmente, anche ricerche precedenti hanno sottolineato come la mancanza di ripartizione e condivisione dei compiti genitoriali è spesso associata a insoddisfazione e ad una inferiore qualità della relazione coniugale, in particolare tra le donne appartenenti a coppie eterosessuali (Coltrane, 2000).
Queste ricerche costituiscono interessanti spunti di conoscenza e di riflessione su alcuni aspetti del funzionamento della coppie omosessuali nello svolgimento della funzione genitoriale e, in generale, sulla costituzione e sui meccanismi tipici della famiglia omosessuale. Tuttavia, esse non sono prive di limiti che la ricerca futura potrà cercare di superare, in primo luogo, rispetto al fatto che la definizione di funzione cogenitoriale viene teoricamente definita e metodologicamente indagata sotto forma di ripartizione del lavoro domestico e familiare. Diversamente, in accordo con McHale, Kuersten-Hogan e Rao (2004), qualificare la cogenitorialità solo in termini di lavoro familiare non consente di accedere alla comprensione delle altre dimensioni che la definiscono e le sono proprie, quali il grado di solidarietà e il supporto tra i genitori, l’ampiezza della dissonanza e l’antagonismo tra loro, il grado di coinvolgimento con il partner. In secondo luogo, tali studi si sono quasi esclusivamente basati sull’utilizzo e l’applicazione di strumenti self report, non prendendo in considerazione il piano dei comportamenti interattivi osservabili tra i componenti della famiglia e risultando quindi parziali anche a motivo delle caratteristiche intrinseche dei metodi utilizzati (Goldberg, 2010).
In sintesi, esistono poche ricerche sullo studio della funzione cogenitoriale nelle famiglie omogenitoriali e, in particolare, delle famiglie lesbo-genitoriali (Goldberg, 2010; D’Amore, 2010; D’Amore, Miscioscia, Scali, Haxhe, Bullens, 2013).
Obiettivi
In riferimento ai presupposti teorici sopra esposti e ai dati empirici disponibili in letteratura, il lavoro presentato di seguito consiste in una ricerca esplorativa sulla qualità delle dinamiche interattive triadiche in famiglie omogenitoriali, composte da una coppia genitoriale formata da due madri lesbiche. La ricerca si è proposta i seguenti obiettivi generali:
a) indagare la qualità delle dinamiche interattive triadiche nelle famiglie omogenitoriali, considerando che, come sottolineato in precedenza, non esistono attualmente studi esaustivi che indaghino la qualità delle interazioni familiari in questo tipo di famiglie evidenziandone eventuali caratteristiche specifiche e peculiarità. In questo senso, la ricerca mira a identificare le possibili specificità delle interazioni familiari in famiglie composte da due madri lesbiche, allo scopo di delineare punti di forza e caratteristiche proprie di questi nuclei;
b) confrontare la qualità delle interazioni familiari nelle famiglie omogenitoriali con i dati emersi dalla letteratura sulle interazioni triadiche in famiglie “tradizionali” nel corso della prima infanzia del bambino (Favez et al., 2010). L’ipotesi generale che ha guidato la verifica di questo secondo obiettivo riguarda l’idea di non riscontrare differenze significative tra i due gruppi studiati, anche in virtù della prospettiva interattiva e osservativa che ha accompagnato la metodologia della ricerca. Ci si aspetta, quindi, che i due gruppi di famiglie siano in grado di manifestare le proprie competenze interattive triadiche e, conseguentemente, la qualità della loro alleanza familiare, indipendentemente dall’appartenenza di genere degli adulti di riferimento. D’altra parte, se consideriamo il piano delle interazioni come il focus privilegiato dell’osservazione e della valutazione, sia dal punto di vista teorico e sia rispetto al metodo prescelto, appare evidente la possibilità di una indipendenza della qualità degli scambi interattivi osservati dall’orientamento sessuale degli adulti nella costruzione della capacità di coordinarsi nella cogenitorialità e negli scambi con il bambino.
Metodo
Partecipanti
Alla ricerca hanno partecipato 10 famiglie lesbo-genitoriali appartenenti ad un più ampio studio longitudinale sulla transizione alla genitorialità di 40 coppie lesbiche e gay condotto presso l’Unité de Clinique Systémique et Psychopathologie Relationnelle dell’Università di Liegi. I genitori sono stati reclutati attraverso associazioni e siti web dedicati alle coppie omosessuali e all’omogenitorialità. Le famiglie sono state informate che lo studio verteva sull’esplorazione della comunicazione familiare e che potevano ricevere un feedback rispetto alle loro interazioni familiari. La maggior parte di queste famiglie si è dimostrata desiderosa di partecipare e non vi è stato nessun annullamento degli appuntamenti fissati.
L’età media della madre biologica è di 34.4 anni (ds = 5.85), mentre l’età media della madre sociale è di 36.6 anni (ds = 7.69). Tutti i bambini, 6 maschi e 4 femmine, sono primogeniti e hanno un’età media di 28.3 mesi (ds = 22.08). Lo status socio-professionale dei genitori è medio-alto. Data la disomogeneità rispetto all’età dei bambini, il gruppo è stato scomposto in due sotto-gruppi in base alla fascia di età del bambino (Gruppo1 costituito da N = 5 bambini di età media M = 12.2 mesi, ds = 7.22; Gruppo 2 composto da N = 5 bambini di età media M = 44.4 mesi, ds = 19.91) allo scopo di verificare la presenza di eventuali differenze. L’applicazione del test U di Mann-Whitney, tuttavia, non ha evidenziato differenze significative relative alle variabili del sistema di codifica spingendoci a considerare i due gruppi come appartenente ad una medesima popolazione e, quindi, ad un unico gruppo.
Il gruppo delle famiglie omogenitoriali è stato confrontato con i dati di Favez e collaboratori (2010) che fanno riferimento ai seguenti campioni:
– Un gruppo di famiglie di una popolazione “normativa” (N = 30) costituito da coppie eterogenitoriali che hanno aderito ad uno studio longitudinale sullo sviluppo delle relazioni familiari, dalla gravidanza fino ai 5 anni del bambino (primogenito). Queste famiglie hanno uno stato socioeconomico medio-alto. L’età media della madre è 31.2 anni (ds = 2.3), l’età media del padre è 32.6 anni (ds = 3.5), quella del bambino è di 38.5 settimane (ds = 2.5); 15 bambini sono maschi e 15 femmine;
– Un gruppo di 30 famiglie che hanno concepito il bambino attraverso la tecnica di Inseminazione Artificiale dopo aver ricevuto una diagnosi di infertilità. L’età media della madre è di 32 anni (ds = 2.9), quella del padre 34 anni (ds = 4.5). Le famiglie hanno uno status socioeconomico medio-alto. I bambini hanno un’età media di 37.5 settimane (ds =2.0); 16 sono femmine e 14 maschi;
– Un gruppo di famiglie appartenenti ad una popolazione clinica afferente al Centre d’Etudes de la Famille di Losanna, a causa di una depressione post partum della madre. Le famiglie (N = 15) hanno uno status socioeconomico medio-basso. L’età media della madre è di 26.6 anni (ds = 2.8), quella del padre 29.2 anni (ds = 3.4). Nell’87% dei casi i bambini sono primogeniti. L’età media dei bambini, di cui 8 femmine e 7 maschi, è di 10 mesi.
Procedura e verifiche preliminari
Le famiglie sono state ricevute presso il Service de Clinique Systémique et Psychopatologie Relationnelle dell’Università di Liegi ed a tutte è stata proposta la procedura del Lausanne Trilogue Play7 (Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery, 1999) per l’osservazione e la valutazione della qualità delle interazioni triadiche familiari. Si tratta di una procedura osservativa di laboratorio che prevede l’interazione di madre, padre e bambino8 secondo lo schema riportato in Figura 1. Nella prima parte un genitore gioca con il bambino mentre l’altro resta semplicemente presente in posizione di terzo; nella seconda parte i genitori si invertono i ruoli, per cui il genitore che nella fase precedente ha giocato con il bambino rimane presente mentre l’altro gioca con il bambino; nella terza parte madre-padre-bambino giocano insieme; nella quarta parte il bambino rimane presente mentre i genitori parlano tra loro.



Le famiglie vengono accolte in una stanza, adiacente ad una seconda stanza contenente l’apparecchiatura tecnica, separate da uno specchio unidirezionale (Figura 2). I genitori vengono fatti accomodare su due sedie che si trovano alla stessa distanza dal seggiolino nel quale verrà collocato il bambino. La distanza tra le sedie ed il seggiolino dovrà rimanere stabile per tutta la durata del gioco. Le sedie convergono formando un triangolo equilatero con il seggiolino del bambino. Quest’ultimo può essere orientato ed inclinato verso un genitore, verso l’altro, oppure posto in posizione intermedia tra i due, consentendo pertanto di agevolare l’interazione tra i genitori ed il bambino. La struttura triangolare del setting permette alla famiglia di attuare scambi interattivi agevoli e adeguati all’età del bambino e alle sue competenze (Corboz-Warnery, Fivaz-Depeursinge, Bettens, Favez, 1993; Papousek e Papousek, 1975).



Durante lo svolgimento del gioco i genitori sono liberi di scegliere la durata delle quattro parti ed il passaggio da una parte all’altra della procedura. Lo sperimentatore invita la coppia genitoriale a rimanere all’interno di un tempo totale indicativo di circa 15 minuti. L’interazione viene videoregistrata con due telecamere: una situata alle spalle dei genitori che consente una visione del volto del bambino, mentre l’altra di fronte ai genitori dietro il vetro unidirezionale per una visione globale dei genitori. L’immagine finale è caratterizzata da un’unica ripresa video formata da due immagini contemporaneamente osservabili (un’immagine in primo piano del bambino ed un’immagine dei genitori) e consente di applicare lo schema di codifica proposto dagli autori, il Family Alliance Assessment Scale, Version 6.3 (FAAS; Favez et al., 2010). Lo strumento è costituito da 15 scale che osservano 7 dimensioni interattive: Partecipazione, Organizzazione dei ruoli, Focalizzazione, Calore e contatto affettivo, Errori di comunicazione e loro risoluzione, Coordinazione cogenitoriale ed infine Coinvolgimento del bambino. Le scale sono valutate nelle categorie «Appropriato» con un punteggio di 2, «Moderato» con un punteggio di 1 o «Inappropriato» con un punteggio di 0. Esse sono: (1) Postura del corpo e dello sguardo e (2) Inclusione dei partner, per la dimensione di «Partecipazione»; (3) Implicazione di ciascuno del proprio ruolo e (4) Rispetto della struttura del compito e del tempo, per la dimensione relativa alla «Organizzazione»; (5) Co-costruzione e (6) Scaffolding genitoriale, per la dimensione della «Focalizzazione»; (7) Clima affettivo e circolarità degli affetti, (8) Validazione degli stati emotivi espressi dal bambino, e (9) Autenticità degli affetti espressi, per la dimensione relativa a «Calore e contatto affettivo»; (10) Errori e risoluzioni nelle attività condivise e (11) Errori e risoluzioni nel cambio contesto, per la dimensione «Errori di comunicazione e loro risoluzione»; (12) Sostegno e cooperazione e (13) Conflitti ed interferenze disturbanti, per la dimensione della «Coordinazione cogenitoriale»; infine (14) Autoregolazione e (15) Coinvolgimento, per la dimensione relativa al «Coinvolgimento del bambino» 9. Tutti i filmati della procedura LTP sono stati codificati da due giudici indipendenti addestrati alla procedura10, ottenendo un accordo compreso tra .60 e 1.00 per tutte le variabili osservate (Tabella 1).



Inoltre è stata effettuata una verifica della consistenza interna delle variabili di codifica delle interazioni familiari attraverso l’indice Alfa di Cronbach che è risultato buono (? = .81). Nel loro insieme, quindi, le variabili che compongono il sistema di codifica della procedura LTP possono essere considerate affidabili e consistenti da un punto di vista statistico. Infine, è stata applicata l’analisi r di Spearman per verificare il grado di correlazione esistente tra le diverse variabili del sistema di codifica applicato (Tabella 2).
Come è possibile osservare, la maggior parte delle variabili correlano positivamente e significativamente tra loro indicando un buon livello del sistema di codifica della procedura LTP. Questi dati di verifica generale dell’adeguatezza del sistema di codifica applicato alla popolazione studiata sono anche in linea con quanto riportato dallo studio di validazione di Favez e colleghi (2010) che evidenzia risultati nella medesima direzione. In tal senso, tali evidenze spingono a ritenere la procedura LTP e il sistema di codifica utilizzato un metodo adeguato all’osservazione e alla valutazione della qualità delle interazioni familiari nella popolazione studiata.



Risultati: le famiglie lesbo-genitoriali
sono “diverse”?
Come anticipato, i dati ottenuti dall’applicazione e dalla codifica della procedura LTP nel gruppo delle famiglie omogenitoriali studiato sono stati comparati con i risultati provenienti dallo studio di validazione di Favez e collaboratori (2010) che ha previsto la verifica del metodo FAAS su tre differenti gruppi di famiglie: un gruppo normativo, un gruppo di famiglie infertili e un gruppo di famiglie cliniche considerando la sintomatologia depressiva materna nel post partum.
I dati del lavoro di Favez e collaboratori (2010) hanno evidenziato differenze statisticamente significative che riguardano 12 variabili sulle 15 di cui è composto il sistema di codifica; inoltre, l’applicazione dell’analisi post hoc di Bonferroni ha mostrato come le differenze significative riscontrate siano, nella maggior parte dei casi, ascrivibili al contributo del gruppo clinico (famiglie con sintomi depressivi della madre nel post partum) piuttosto che a quello degli altri due gruppi. In altre parole, la qualità delle interazioni familiari del gruppo normativo e delle coppie infertili non differiscono significativamente tra loro, mentre le discrepanze più evidenti si osservano tra questi due e il gruppo clinico. Questi dati evidenziano anche la possibilità della procedura LTP di discriminare interazioni familiari cliniche rispetto a differenti tipologie di famiglie (gruppo normativo e gruppo delle coppie infertili) che pur nelle loro specificità non manifestano livelli di interazione disfunzionali e/o clinici. In questo senso, la procedura appare un metodo elettivo proprio per il tipo di popolazione del presente studio, nel tentativo di evidenziare le caratteristiche e le specificità delle famiglie omogenitoriali, indipendentemente da aspetti disfunzionali e/o clinici che non ci aspettiamo di trovare, di per sé, presenti.
Allo scopo quindi di confrontare i dati del gruppo di famiglie omogenitoriali con i risultati dello studio di Favez e colleghi (2010), è stata applicata la statistica del T test per campioni indipendenti, considerando di volta in volta il gruppo qui studiato con i tre gruppi presi separatamente. In primo luogo, quando è stato analizzato il confronto tra il gruppo normativo e quello delle famiglie omogenitoriali è emersa un’unica differenza significativa che riguarda la variabile “Struttura e tempi”, laddove nel gruppo qui studiato emerge come tutte le famiglie svolgono le quattro parti del gioco, tuttavia impiegando un tempo molto ridotto o molto più lungo rispetto al gruppo normativo dello studio di Losanna (T = 3.99, df = 38, p = .00). In altre parole, le famiglie omogenitoriali sembrano mantenere la struttura del gioco proposto “abbreviando” o “prolungando” però la durata dell’interazione in modo significativamente diverso rispetto a quanto avviene nelle famiglie normative. Tale dato, tuttavia, non sembra influenzare la qualità generale delle interazioni familiari dal momento che non si osservano altre differenze tra i due gruppi né su singole variabili, né rispetto al totale della procedura. Questo dato fa supporre perciò che le famiglie studiate riescono a creare un contesto favorevole all’interazione rispetto alle diverse dimensioni osservate, ma entro una durata complessiva differente dal gruppo normativo. Tale risultato è emerso anche nello studio di Favez e colleghi (2010) quando considerato il confronto tra il gruppo normativo e quello delle famiglie ricorrenti ad Inseminazione Artificiale a seguito di una diagnosi di sterilità, evidenziando probabilmente una peculiarità rispetto a questa variabile che necessita di ulteriori approfondimenti e riflessioni.
Data l’esiguità del campione di ricerca possiamo solo accennare l’ipotesi che queste famiglie impieghino un timing differente non pregiudicando l’interazione attraverso caratteristiche di ipercoinvolgimento che porterebbero ad abbassare la qualità delle interazioni o, in particolare, la performance del bambino. Potrebbe essere interessante, a questo proposito, osservare se i due gruppi focalizzano eccessivamente l’attenzione sul bambino prolungando l’interazione in atto o abbreviandola con l’obiettivo di fornire, agli occhi del ricercatore e quindi della comunità scientifica, la migliore prestazione possibile che permetta di osservarne le competenze e il benessere.
Dal confronto tra il gruppo delle famiglie omogenitoriali e quello delle coppie infertili non emergono differenze significative su nessuna delle variabili di codifica della procedura LTP, mentre, come si riscontra nello studio di validazione, si evidenzia la presenza di differenze significative tra il gruppo di famiglie studiato e quello clinico (Tabella 3). In particolare, sette variabili sulle quindici del sistema di codifica evidenziano differenze, con un andamento che vede punteggi più elevati nel gruppo delle famiglie omogenitoriali rispetto a quelle appartenenti al gruppo clinico.
Questo dato in qualche modo conferma che le differenze vanno nella direzione di una maggiore funzionalità della qualità delle interazioni familiari del gruppo omogenitoriale rispetto al campione clinico considerato. È interessante osservare che le differenze significative ottenute dal nostro gruppo sulle sette scale sono le stesse di quelle ottenute dalla comparazione del campione clinico con quello delle famiglie infertili.



Discussione e conclusioni
Seppur in una forma preliminare e ottenuti su un numero esiguo di famiglie, i risultati fin qui emersi sembrano confermare l’ipotesi iniziale secondo cui non esistono differenze statisticamente significative per ciò che concerne la qualità dell’alleanza cogenitoriale e familiare tra le famiglie lesbo-genitoriali e quelle eterogenitoriali. In questo senso, le famiglie omogenitoriali mostrano buone capacità di coordinazione emotiva e interattiva tanto sul piano genitoriale che su quello familiare o, comunque, livelli omogenei rispetto a quanto ottenuto nel gruppo delle famiglie composto da due genitori eterosessuali. In particolare, non sono emerse differenze significative per ciò che concerne i punteggi relativi alle competenze interattive del bambino (coinvolgimento ed autoregolazione) né rispetto alle variabili che definiscono le capacità genitoriali di interagire con il figlio e tra di loro (supporto e conflitto). Le famiglie lesbo-genitoriali manifestano inoltre livelli di partecipazione, organizzazione, focalizzazione e contatto affettivo non significativamente diversi dal gruppo normativo tranne per la variabile che definisce la durata della procedura. Il basso punteggio ottenuto in questa variabile, tuttavia, non conduce queste famiglie ad una riduzione significativa del punteggio globale alla procedura né si collega con altre differenze rispetto alle famiglie normative, dal momento che non emergono altre diversità tra i due gruppi. D’altra parte, questa variabile è risultata particolarmente critica anche nell’applicazione della procedura LTP alla popolazione italiana (Bighin, Simonelli, De Palo, 2011) dal momento che è l’unica a costituire una qualche fonte di differenze rispetto ai dati emersi dallo studio di validazione dello strumento (Favez et al., 2010). In questo senso è anche possibile che la dimensione della durata del gioco sia una caratteristica interattiva che maggiormente risente di influenze culturali o legate alla composizione della famiglia e che, come tale, deve essere ulteriormente indagata e definita allo scopo di consentire una migliore valutazione di questo aspetto. In tale direzione, ulteriori e più ampi studi forniranno una possibilità di comprensione e di approfondimento di questa componente strutturale dell’interazione triadica, sia da un punto di vista teorico, sia rispetto alla verifica empirica e alla metodologia di valutazione.
D’altro lato, la comparazione effettuata tra le famiglie omogenitoriali studiate e il gruppo clinico dello studio di Favez e colleghi (2010) relativo a famiglie con madri che presentano caratteristiche depressive nel post partum ha consentito di rilevare differenze statisticamente significative per ciò che concerne i punteggi relativi a sette variabili che riguardano le dimensioni che definiscono l’alleanza familiare (partecipazione, organizzazione, focalizzazione e contatto affettivo). È importante sottolineare che le medie dei punteggi ottenuti dalle famiglie omogenitoriali sono significativamente superiori a quelle del gruppo clinico, delineando il quadro di una buona qualità di alleanza familiare, nonché l’assenza di caratteristiche disfunzionali rispetto alla qualità osservata delle interazioni (Farr, Patterson, 2013).
Da un punto di vista generale, quindi, i dati emersi sembrano evidenziare come il fattore di rischio rispetto alla qualità delle interazioni triadiche familiari non sia costituito dalla composizione della famiglia in sé (famiglie eterogenitoriali vs. famiglia omogenitoriali) quanto piuttosto dalla presenza di caratteristiche cliniche e/o psicopatologiche in uno dei genitori (depressione materna nel post partum). In tal senso, se confermato ulteriormente, tale risultato appare aprire un interessante scenario sullo studio dei processi interattivi familiari e dei metodi ad esso deputati. Da una parte, infatti, emerge come la qualità degli scambi interattivi sia particolarmente influenzata da caratteristiche proprie del funzionamento psichico di un genitore (es. aspetti clinici presenti) piuttosto che dalla sua appartenenza di genere e/o dalla composizione della triade in sé. In altre parole, l’orientamento sessuale del genitore, non sembra costituire un predittore efficace della qualità dei processi relazionali osservabili sul piano interattivo che, probabilmente, sono ascrivibili ad altre variabili da tenere in considerazione (Ceballo, Lansford, Abbey, Stewart, 2004; Chan et al., 1998; Ganong e Coleman, 2004; D’Amore, 2010). D’altra parte, sembra emergere anche il valore della procedura LTP nel discriminare aspetti disfunzionali e/o clinici della qualità delle interazioni familiari identificando nuclei a rischio per lo sviluppo dell’interazione stessa e del bambino. In tale direzione appare chiaro come altri studi potranno sempre di più condurre all’identificazione di strumenti osservativi per lo studio dei processi interattivi familiari che consentano anche l’individuazione di una “diagnosi” su base interattiva, indipendente da fattori che non risultano adeguati predittori della qualità delle relazioni che la famiglie costruisce.
Questo studio presenta un certo numero di punti di forza. Innanzitutto esso costituisce la prima indagine empirica finora realizzata sulle differenze e similarità nella qualità delle interazioni familiari tra coppie genitoriali lesbo, eterosessuali, con inseminazione alternativa e cliniche. Si tratta inoltre del primo studio a prendere in considerazione le dinamiche triadiche e di coparenting nelle famiglie lesbo-parentali attraverso un dispositivo di osservazione come il Lausanne Trilogue Play.
Nonostante ciò esso presenta anche una serie di limiti. Il gruppo delle famiglie studiate non può considerarsi rappresentativo della popolazione delle famiglie lesbo-parentali data la sua esiguità e le sue caratteristiche generali. Non possiamo inoltre generalizzare il risultato sulla base del solo metodo di procreazione ma altre variabili, quali l’età del bambino e dei genitori, la transizione alla genitorialità con ciò che comporta in termini di gestione di stress interni ed esterni alla famiglia, vanno prese senza dubbio in considerazione nei futuri studi.
Il presente studio si riferisce ad una realtà legislativa chiaramente differente da quella Italiana; ci auguriamo che tale ricerca possa svilupparsi anche nel nostro contesto stimolando l’attenzione dei ricercatori a realtà esistenti nel nostro territorio ma non ancora osservate alla luce delle evidenze empiriche riportate dagli studi internazionali effettuati in materia.
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