Dettagli Maggio-Agosto 2011, Vol. 10, N. 2 doi 10.1710/956.10461 Scarica il PDF(71,1 kb) Citazione Speranza AM. Introduzione. . doi 10.1710/956.10461 Scarica la citazione: BibTex EndNote Ris Altro dagli autori Articoli di Anna Maria Speranza Introduzione titolo - split_articolo,controlla_titolo - art_titolo Introduzione title - art_title Introduction autori - vau_aut_id affiliazione_autori - ignora ANNA MARIA SPERANZA Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, “Sapienza” Università di Roma testo - art_testo I servizi pubblici di salute mentale sono andati incontro in questi ultimi anni ad una fase di profondo cambiamento, legata soprattutto alla necessità – sollecitata dai Piani Sanitari Nazionali – di far fronte alla crescente richiesta di valutazione e trattamento e al contempo di migliorare la qualità dei servizi attraverso una serie di obiettivi: individuare precocemente le situazioni di rischio, ridurre la cronicità dei disturbi più gravi attraverso la presa in carico precoce, differenziare l’offerta di trattamento e adottare linee guida specifiche per differenti tipologie di pazienti, valutare l’efficacia dei trattamenti offerti. A fronte delle sempre più scarse risorse, inoltre, è stata da più parti sottolineata l’esigenza di promuovere una cultura della valutazione e della qualità in grado di migliorare l’offerta sanitaria e di ridurne i costi. La richiesta di una maggiore efficienza coniugata ad un più elevato standard di qualità ha reso necessario implementare soprattutto l’area della valutazione clinica e quella della verifica dell’efficacia dei trattamenti offerti, cercando di coniugare le esigenze della clinica – che mantiene come obiettivo primario quello della presa in carico e della cura – e il rigore della ricerca, dove metodologie e protocolli di valutazione necessitano di disegni di ricerca rigorosi al contempo dotati di validità esterna. In questo ambito si è creato uno spazio di riflessione e collaborazione che ha sollecitato la formulazione di progetti di ricerca clinica in grado di valorizzare le risorse esistenti nei servizi e di sostenere quella cultura della qualità che può rappresentare una forte spinta alla motivazione in un ambito spesso soggetto a demotivazione e burn out. In questo spazio sono convogliate da una parte le esigenze dei clinici dei servizi, desiderosi di approfondire le loro conoscenze alla luce dei nuovi sviluppi teorico-clinici provenienti dalla letteratura internazionale e disponibili a mettere in gioco le loro competenze specifiche nel lavoro quotidiano di cura, e dall’altra l’interesse di ricercatori universitari nell’area della psicologia dinamica e clinica a verificare, attraverso l’applicazione di protocolli di ricerca rigorosi, la “bontà clinica” dei loro strumenti e delle loro ipotesi teorico-cliniche. Coniugare queste diverse esigenze comporta notevoli difficoltà in termini di organizzazione del lavoro, di richieste di un maggiore impegno di tempo ed energie a fronte di scarse risorse, di perplessità circa l’utilità e le ricadute cliniche di strumenti che pretendono di oggettivare un processo che viene sentito come unico e idiosincratico, ma può rappresentare anche un punto di grande forza nella costruzione di una ricerca clinica realmente informativa per clinici e ricercatori. Il valore di una ricerca clinica applicata, infatti, risiede innanzitutto nella possibilità di produrre risultati e riflessioni che siano utilizzabili sul piano operativo dai clinici che lavorano sul disagio psicologico: aggiornare le proprie conoscenze in ambito diagnostico, riflettere su costrutti in grado di cogliere aree importanti del funzionamento psichico e misurarne la loro applicazione, confrontarsi con i colleghi attraverso strumenti di indagine condivisi e, soprattutto, verificare le proprie ipotesi di lavoro attraverso un’analisi del processo e dell’esito all’interno di un trattamento, possono essere aspetti di grande rilievo nel lavoro clinico istituzionale. Dalla parte dei ricercatori, i vantaggi di questa prospettiva vengono anche dalla possibilità di ottenere risultati aderenti alla realtà clinica che, seppure a volte meno rigorosi in termini metodologici, hanno il vantaggio di riflettere con maggiore accuratezza l’esistente e di fornire dunque spunti di riflessione più vicini all’oggetto reale di studio. La ricerca clinica valorizza dunque l’integrazione che si può produrre dalla collaborazione tra università e servizi di salute mentale. Si tratta infatti di un incontro produttivo su vari piani: favorisce uno scambio reciproco di conoscenze e competenze, informato dagli avanzamenti nel campo della ricerca e sostenuto dall’esperienza dei clinici; permette una formazione sul campo a laureandi, tirocinanti e specializzandi che hanno la possibilità di misurarsi nei diversi compiti della clinica e della ricerca, imparando a non sottovalutare le necessità dell’una e dell’altra e al contempo a confrontarsi con realtà istituzionali complesse; qualifica l’attività del servizio pubblico promuovendone le competenze. Per poter essere proficua la collaborazione deve potersi realizzare anche attraverso la costituzione di gruppi di lavoro che, sostenuti da incontri periodici, possano confrontarsi sulla formazione all’uso di nuovi strumenti, sulla verifica dell’applicabilità di alcuni protocolli, ma anche sulla restituzione dei risultati in itinere. Si tratta di un processo che coinvolge spesso l’intera équipe di lavoro e che, oltre a dare significato al lavoro effettuato e indicazioni cliniche utili al proseguimento del lavoro clinico, può motivare i clinici coinvolti a fronte del dispendio di forze impiegate. Le forme di questa collaborazione – come vedremo dai contributi proposti in questo numero – possono essere diverse: i ricercatori universitari possono fornire strumenti tecnici e metodologici e supervisionare il lavoro di ricerca dei clinici; operatori in formazione (tirocinanti, specializzandi) possono prendere in carico la somministrazione degli strumenti e costituire un altro polo di ascolto per il paziente, rappresentando anche un ponte tra i ricercatori e i clinici; si possono costituire unità di ricerca in cui i clinici dei servizi vengono formati e raccolgono in prima persona il materiale di ricerca utilizzandolo sia a scopo clinico che come raccolta dati, ecc. (Fava, Masserini, 2006). Queste diverse forme dipendono per una certa parte dalla modalità di incontro tra le due istituzioni, ma anche e soprattutto dalla considerazione attenta alla realtà istituzionale di cui i servizi sono rappresentanti: la tradizione clinica di un servizio, la sua organizzazione e il suo orientamento teorico prevalente devono costituire la cornice all’interno della quale i ricercatori si muovono per facilitare l’integrazione della ricerca nella clinica. L’uso di misure quantitative, ad esempio, nella forma di self-report per i pazienti o di strumenti clinician-report, deve tener presente non solo la ricaduta empirica, ma anche i vincoli temporali e organizzativi del servizio pubblico, senza dimenticare l’impatto sul lavoro terapeutico e sulla costruzione della relazione. I clinici devono poter sentire che gli strumenti utilizzati sono al servizio della loro attività clinica per la formulazione del caso e la pianificazione dell’intervento. La scelta di dedicare un numero monografico di Infanzia e Adolescenza a questo tema ci è parsa opportuna nell’ottica di valorizzare alcune di queste collaborazioni e di indicare altri possibili percorsi in questa direzione. Pur nella loro diversità e specificità tutti i contributi di questo numero mettono l’accento sulla fruttuosa collaborazione tra università e servizi e sottolineano l’importanza di assumere paradigmi teorico-clinici aggiornati nello studio della psicopatologia e della diagnosi clinica in adolescenza e in età adulta. Viene infatti condivisa da tutti gli autori la necessità di colmare la distanza tra una valutazione diagnostica di tipo psichiatrico e una prospettiva teorico-clinica della psicopatologia informata da nuovi paradigmi che mettono l’accento su variabili più complesse come il funzionamento della personalità, la regolazione affettiva, i modelli di attaccamento (Dazzi, Lingiardi, Gazzillo, 2009). La considerazione di queste dimensioni del funzionamento mentale, accanto alla valorizzazione delle risorse che i pazienti presentano, permette infatti di guidare con più accuratezza il lavoro terapeutico, di valutare il cambiamento in psicoterapia sulla base di indicatori più complessi, di migliorare la predittività e gli esiti a lungo termine delle forme di disagio adolescenziale. I primi tre lavori presentati in questo numero riferiscono i risultati clinici di indagini avviate nel corso degli ultimi anni proprio a partire dalla condivisione di questa prospettiva. Il contributo di Mirizio e collaboratori su Regolazione affettiva e psicopatologia nei giovani adulti: una ricerca clinica parte dalla considerazione che i disturbi della regolazione affettiva, determinati da modelli di attaccamento insicuri e spesso associati ad un funzionamento alessitimico, possono rappresentare significativi fattori di rischio per lo sviluppo e gli esiti a lungo termine della psicopatologia in adolescenza. L’obiettivo del lavoro è stato quello di studiare le caratteristiche degli stili di regolazione affettiva in un campione di adolescenti e giovani adulti, coniugando valutazioni del clinico e autovalutazioni effettuate dai pazienti. Superando una diagnosi di tipo categoriale, spesso del tutto inadeguata a cogliere le peculiarità della fase adolescenziale, gli autori hanno voluto mettere l’accento sull’importanza di considerare fattori di rischio e risorse psicologiche nella valutazione del disagio in questa fascia d’età: le caratteristiche del funzionamento mentale, gli stili di personalità e i modelli di attaccamento studiati hanno permesso di definire delle strategie di regolazione affettiva e dei profili di funzionamento rispetto ai quali il clinico può orientare il proprio intervento e fare previsioni più attendibili circa gli esiti dello stesso. Un focus più specifico sulla valutazione del trattamento nei servizi è proposto dal lavoro di De Coro e collaboratori Dalla valutazione dei pazienti alla valutazione delle psicoterapie nei servizi pubblici: “lavori in corso”. Anche in questo contributo l’attenzione è rivolta ad una valutazione psicodinamica del funzionamento mentale del paziente, dove oltre ai disturbi di personalità e all’attaccamento vengono considerati anche gli stili difensivi e le strategie di coping, con la prospettiva di poter delineare – a partire da un assessment complesso – i cambiamenti a breve e a lungo termine dei trattamenti psicoterapeutici intrapresi. La valutazione multistrumentale, che favorisce l’individuazione di indicatori clinici diversificati ma convergenti nel cogliere le trasformazioni del processo terapeutico, ha permesso anche di identificare alcuni predittori associati al drop-out che possono fornire utili indicazioni ai clinici per intervenire con maggiore efficacia sulle interruzioni precoci. Il lavoro di Gazzillo, Lingiardi e Del Corno su La valutazione della personalità con i Prototipi Diagnostici Psicodinamici: una ricerca empirica nata dalla collaborazione tra Università e Servizi pubblici introduce il lettore alla valutazione empirica della nuova e interessante nosografia di impostazione psicodinamica proposta dal Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM; PDM Task Force, 2006). L’attenzione è rivolta specificamente alla validazione di strumenti in grado di cogliere gli stili e i disturbi di personalità, le preoccupazioni principali e le credenze patogene più rappresentative per i pazienti e di verificarne l’applicabilità clinica e la validità predittiva rispetto a variabili anamnestiche e cliniche significative. L’utilità di questi strumenti si riflette nella possibilità di mettere a punto una formulazione del caso che consideri le caratteristiche dell’identità del paziente, le rappresentazioni delle persone per lui significative, le tematiche conflittuali che organizzano le sue relazioni, gli affetti e i meccanismi di difesa prevalenti e le risorse presenti, quali elementi necessari al clinico per pianificare interventi patient-tailored e per verificarne l’efficacia. Infine proponiamo due contributi clinici che vogliono illustrare dall’interno come i terapeuti possono avvalersi degli strumenti e delle valutazioni empiriche utilizzati nei protocolli di ricerca. Nel lavoro di De Bei e Mirizio su L’utilità clinica dell’Adult Attachment Interview: valutazione multistrumentale nel trattamento di un giovane adulto viene presentato il materiale clinico di una psicoterapia ancora in corso coadiuvata dall’analisi dei trascritti dell’AAI e dalla valutazione della personalità attraverso la SWAP-200 all’inizio e dopo un periodo di due anni e mezzo di trattamento. L’uso di questi strumenti ha permesso di reperire informazioni cliniche significative, quali la storia di attaccamento del paziente, la presenza di lutti e esperienze traumatiche non elaborate, la qualità delle rappresentazioni mentali delle relazioni significative, le strategie difensive utilizzate e le caratteristiche del funzionamento della personalità, che hanno permesso al clinico di individuare gli elementi di maggiore rilievo per il lavoro psicoterapeutico e di ottenere un feedback sull’andamento del trattamento. Il contributo di Iberni, Nizzi, Mariani e De Coro su L’intervista sull’attaccamento adulto nella valutazione del cambiamento terapeutico: uno studio sulla coerenza narrativa, con un’analoga cornice teorica, mette l’accento sull’importanza di considerare la coerenza narrativa come elemento di grande rilevanza clinica nello studio del processo terapeutico. Gli autori hanno utilizzato una valutazione multistrumentale del caso singolo che, oltre a includere strumenti di valutazione degli indici sintomatologici, dei meccanismi difensivi e delle strategie di coping, propone l’utilizzo del Coherence Q-sort (Beijersbergen, Bakermans-Kranenburg, Van Ijzendoorn, 2006) applicato ai trascritti dell’Adult Attachment Interview in considerazione del fatto che la qualità della narrazione e la valutazione dimensionale della sicurezza dell’attaccamento siano in grado di cogliere con maggiore sensibilità i cambiamenti prodotti dal processo psicoterapeutico. La capacità di articolare narrativamente le proprie esperienze relazionali, infatti, può essere considerata un indicatore estremamente attendibile non solo del funzionamento psichico del soggetto ma anche dei cambiamenti che in questo funzionamento intervengono nel corso del trattamento. Complessivamente, i contributi di questo numero vogliono sottolineare le opportunità che possono venire dall’integrazione tra prospettive diverse in grado di promuovere una ricerca e una clinica di qualità nell’ambito dei servizi di salute mentale. Clinici e ricercatori sono consapevoli dei limiti e degli ostacoli che si incontrano in questo lavoro, ma intravedono in esso anche significative ricadute nel lavoro quotidiano con il disagio mentale. biblio_titolo - ignora ■ Bibliografia bibliografia - art_bibliografia Beijersbergen M, Bakermans-Kranenburg M, Van Ijzendoorn M (2006), The concept of coherence in attachment interviews: comparing attachment experts, linguists, and non-experts. Attachment & Human Development, 8, 353-369. Dazzi N, Lingiardi V, Gazzillo F (2009)(a cura di), La diagnosi in psicologia clinica. Milano: Raffaello Cortina. Fava E, Masserini C (2006), La valutazione dell’efficacia delle psicoterapie nei servizi pubblici. In: Dazzi N, Lingiardi V, Colli A (a cura di), La ricerca in psicoterapia: modelli e strumenti. Milano: Raffaello Cortina. PDM Task Force (2006), PDM. Manuale diagnostico psicodinamico. Tr.it. Milano: Raffaello Cortina, 2008.